Chi partecipa al gioco della sostenibilità? E chi ci guadagna?

La necessità di una filiera della moda più sostenibile è espressa in primo luogo dai consumatori che chiedono opzioni di acquisto più allineate ai loro valori: vogliono comprare meno, scegliere meglio e sostenere sistemi rispettosi del lavoro delle persone. A queste necessità i brand devono rispondere proponendo modelli rigenerativi, quindi ad esempio includendo nella propria offerta opzioni di recupero, rivendita, noleggio e riciclo.

In prima battuta, quindi, la partita della sostenibilità si gioca tra brand, consumatori e ambiente, ciascuno dei quali trae un beneficio diretto.

I consumatori acquisiscono uno stile di consumo nuovo che legittima e incoraggia la riparazione, il riutilizzo, la condivisione: si abituano a prendersi cura dei capi che usano, a rivendere quelli che non usano più (o non usano abbastanza), ad acquistare a loro volta capi di seconda mano.

L’ambiente beneficia di un ridotto impatto delle attività produttive perché il riciclo presso operatori specializzati consente di recuperare “materie prime seconde”, contiene il consumo di materiali vergini e riduce la quantità di prodotti smaltiti in discarica, mentre il riutilizzo scoraggia la produzione incontrollata di nuove collezioni.

I brand traggono un beneficio economico perché hanno la possibilità di reintrodurre nel ciclo attivo prodotti che diversamente andrebbero stoccati e distrutti, quindi di risparmiare i relativi costi di occupazione dello spazio e smaltimento e anzi di sviluppare nuovi business legati a rivendita, noleggio o riciclo.

I modelli circolari si rivolgono a una molteplicità di realtà aziendali: le piccole e medie imprese, ma anche i grandi gruppi internazionali e in generale tutti quegli operatori che hanno esigenza di gestire il ciclo di vita dei prodotti immessi sul mercato.

I grandi gruppi, ad esempio, potranno consolidare i flussi di take-back di un’intera regione (Europa o sud Europa) in un solo hub logistico, attivare economie di scala che rendano le operazioni più sostenibili e allo stesso tempo, ridurre i trasferimenti fisici di merce e le relative emissioni di CO2. Mentre le realtà meno strutturate potranno rispondere alle Direttive Europee che, in modo sempre più omnicomprensivo, chiedono alle aziende di farsi carico del ciclo di vita dei prodotti secondo il concetto di EPR (extended producer responsibility).

I modelli efficaci di economia circolare devono rivolgersi alla filiera nella sua interezza, con l’obiettivo di favorire soluzioni collaborative, sinergie industriali e condivisione di buone pratiche.

I brand sono gli interlocutori di primo livello, certo, ma il modello può includere molti protagonisti di diversa natura: associazioni di categoria, istituzioni, università, fondazioni, realtà dedite a ricerca, innovazione e divulgazione. In generale sono coinvolti tutti gli stakeholder legati al mondo della selezione, della riparazione e del riciclo, inclusi i cittadini che, come consumatori finali del prodotto tessile, sono i protagonisti attivi del processo di take-back.

Con tutte queste realtà la logistica può costruire rapporti di scambio e collaborazione occupandosi direttamente delle attività operative che le competono e favorendo il dialogo e la condivisione tra gli altri attori.

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