La frase è di Orsola de Castro, pioniera e ambasciatrice della moda sostenibile a livello internazionale e fondatrice di Fashion Revolution, il movimento globale nato dopo il disastro del Rana Plaza del 2013 con l’intento di ricostruire una filiera tessile rispettosa delle persone e degli ecosistemi.
Un sistema della moda più equo e sostenibile, capace di preservare e ridistribuire le risorse del pianeta, deve promuovere, tra l’altro, l’uso accorto e responsabile dei prodotti che con quelle risorse sono stati realizzati, nel rispetto delle materie prime utilizzate e dei lavoratori coinvolti. Gli abiti nel nostro armadio, appunto.
In questo senso le pratiche di “cura e manutenzione” sono alla base di un nuovo modello culturale che diffonde e incoraggia la riparazione e il riutilizzo, introduce la pratica della condivisione e abitua i consumatori a “tenere in ordine” i capi che usano, rimettere in circolo ciò che non usano più (o non usano abbastanza), acquistare capi di seconda mano.
Fino a qualche tempo fa gli indumenti erano progettati per durare e la persona che li acquistava se ne prendeva cura, proprio perché durassero a lungo. Oggi il fast fashion mette a disposizione un’enorme quantità di abbigliamento a buon mercato e di bassa qualità, la moda è diventata usa e getta e il sistema intero è malato di sovrapproduzione, iperconsumismo e spreco.
Si stima che si consumino circa 80 miliardi di nuovi capi di abbigliamento ogni anno. Ma chi li indossa? A cosa ci servono? E dove vanno a finire?
Dovremmo reimparare l’arte del rammendo, usare i nostri abiti per più tempo, magari rivenderli o noleggiarli se l’uso che ne facciamo è solo occasionale. Il rammendo è un atto di cura non solo verso i vestiti, ma in senso più ampio verso un sistema della moda che oggi corre molto e pecca di negligenza.
Una volta compreso che la riparazione è un passaggio essenziale in un sistema sostenibile, per generare un impatto significativo dobbiamo uscire dalla dimensione privata del gesto individuale e passare alla pratica industriale. La riparazione deve diventare parte integrante della proposta di valore sviluppata dai brand e offerta ai consumatori.
La proposta può articolarsi in diverse declinazioni:
- il brand offre al cliente la possibilità di riparare i capi in suo possesso perché vuole che li tenga a lungo, ne apprezzi il valore e investa più volentieri in capi di qualità.
- il brand offre al cliente il noleggio dei capi perché vuole che li provi e magari alla fine decida di acquistarli. E per offrire il noleggio deve ovviamente riparare.
- il brand, in linea generale, si preoccupa di offrire alternative sostenibili perché vuole che il cliente condivida i suoi valori, si leghi in modo forte al marchio e lo sponsorizzi.
La riparazione è una pratica lodevole, ma all’interno di un sistema ridisegnato per essere sostenibile, deve diventare una scelta strategica, sviluppata come opportunità di business, in logica industriale.
Nella implementazione di modelli industriali di riparazione, la logistica può dare un contributo significativo.
Può mettere a disposizione, in modo flessibile e scalabile, attività di ripristino e ricondizionamento applicate in ciascuno degli ambiti sopra menzionati: nella semplice gestione dei resi o in un modello più articolato che prevede la raccolta dal mercato, la selezione, la riparazione e l’attivazione di offerte di rivendita, noleggio o riciclo.